Nelle sale al pianterreno della splendida Villa Reale di Milano, ha aperto al pubblico il 27 novembre scorso la mostra Adolfo Wildt (1868-1931) L’ultimo simbolista.
La mostra, resa possibile grazie al contributo di UBS, si apre dopo quella parigina dell’aprile scorso, con la quale condivide, oltre al titolo, il progetto scientifico e prosegue nel progetto di rivalutazione delle collezioni scultoree della GAM, dopo la monografica di Medardo Rosso organizzata tra febbraio e maggio 2015.
La mostra, che si sviluppa per sei sezioni ordinate in maniera cronologica, presenta quasi settanta opere tra sculture e disegni di Wildt e opere di Canova, Melotti e Fontana.
Sotto l’ala dei maestri (1885-1906) La Vestale (1818-1819) del Canova della GAM ha il compito, da brava padrona di casa, di aprire la mostra servendo da termine di paragone per alcune delle prime opere di Wildt, ossia: Atte (Vedova) nelle due versioni, quella del 1892, (oggi in collezione privata), e quella del 1893-1894 (Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma) e con Martire (Martirologio) del 1895 (oggi proprietà del gallerista bresciano Massimo Minini). Sono queste prime opere a catturare l’interesse del collezionista Franz Rose, di cui è esposto il Ritratto del 1913, (conservato alla Ca’ Pesaro di Venezia) questo incontro permetterà a Wildt il definitivo distacco dal mondo accademico milanese per iniziare a sviluppare la sua ricerca più personale e caratteristica.
La poesia del chiaroscuro (1906-1915) Dopo la lunga depressione (1906-1908) durante il quale Wildt non riuscì a trasporre in marmo la propria spiritualità, il linguaggio di Wildt finalmente rinacque con un espressività inedita, molto più tormentata e vicina all’arte germanica, che ben conosceva grazie a Franz Rose. Apice di questo momento sarà la Trilogia del 1912 (oggi esposta nei giardini di Villa Reale); a dimostrazione di questo nuovo stile sono presentate in questa sala tra le altre opere tre versioni di: Vir temporis acti (Uomo antico), la prima, del 1913 (dalla collezione di Franco Maria Ricci) la seconda del 1914 (della stessa GAM) e la terza, in bronzo, del 1921 (Musée d’Orsay di Parigi).
La famiglia mistica (1915-1918) Le opere di questa sezione testimoniano una semplificazione delle forme di Wildt, che tende qui a trasformare i possenti corpi visti nella sala precedente in esili e fragili forme in balia dell’esistenza. Le due versioni de La concezione del 1921-1922 (la prima in collezione privata di Padova e la seconda del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano) e le due versioni in bronzo la prima e in marmo la seconda di Madre Ravera, del 1929 (entrambe le opere oggi in collezione privata) sono la perfetta immagine di questo passaggio a delle linee più pure ed arcaiche.
L’asceta del marmo (1918-1926) La tendenza ad epurare le forme di Wildt prosegue sempre di più ed è facilmente riscontrabile anche nella sua produzione grafica, che viene ben documentata in questa sala dove è messa a confronto con alcune opere scultoree di carattere religioso come l’Acquasantiera (La fontanella santa) del 1921 (collezione privata) e il San Francesco del 1926 (Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma). L’architettura delle forme (1922-1926) Alla fine del primo conflitto mondiale Wildt consolida i rapporti con i vari intellettuali italiani del momento, come: Vittore Grubicy de Dragon, Arturo Toscanini ed entra nelle grazie di Margherita Sarfatti, quest’ultima lo porterà ad unirsi al gruppo del Novecento Italiano. In questo periodo Wildt si dedica soprattutto ai ritratti e ai monumenti, in questa sala sono esposti alcuni dei ritratti di quel periodo come il grande ritratto bronzeo di Vittorio Emanuele III del 1930 (sempre della GAM) o il ritratto di Arturo Ferrarin del 1929 (collezione privata).
Milano, gli amici e gli allievi. Fontana e Melotti. Dopo la pubblicazione de L’Arte del marmo Wildt decide di aprire nel 1922 la Scuola del marmo per cercare di trasmettere alle nuove generazioni di artisti le sue conoscenze, la scuola fu ospitata a partire dal 1923 all’interno di Brera, tra gli allievi che si formarono presso la Scuola di Wildt due vengono ricordati in quest’ultima sala ossia: Lucio Fontana e Fausto Melotti i quali più volte dichiararono i loro enormi debiti nei confronti di Wildt. Accanto ad alcune delle opere più tarde di Wildt, come Il puro folle (Parsifal) del 1930 (oggi conservato presso la villa Necchi Campiglio del FAI), sono esposte tre sculture di Fausto Melotti del 1935: Scultura n. 16, Scultura n. 17 e Scultura n. 24 (Museo del Novecento) e un Concetto spaziale del 1960 di Lucio Fontana.
A conclusione del percorso è proiettato, nella Sala del Parnaso al piano nobile della Villa, l’interessante documentario Adolfo Wildt, il Marmo e l’Anima di: Simone Marcelli, Fabio Ferri e Barbara Ainis; ideato per diffondere presso grande pubblico l’opera di uno dei maggiori scultori del secolo scorso.
Nell’ambito della mostra e in collaborazione con il FAI e con il Museo della Scienza e Tecnologia di Milano (entrambi prestatori di opere esposte in mostra) si terranno tre incontri aperti al pubblico per approfondire la figura di Wildt, e il forte legame delle sue opere con Milano.
Proprio con l’intento di sottolineare il privilegiato rapporto di Milano con l’opera di Wildt è stato presentato un itinerario tematico per facilitare l’incontro del grande pubblico con i luoghi milanesi che ancora oggi ospitano le opere di Wildt: il primo luogo è proprio il Giardino di Villa Reale dove è conservato il gruppo scultoreo Trilogia: il Santo, il Giovane, la Saggezza, (1912); seconda tappa di questo tour scultoreo è il ridotto Arturo Toscanini del Teatro alla Scala, dove è conservato proprio il Busto di Arturo Toscanini (1929); terza tappa dell’itinerario proposto è il Cimitero Monumentale dove sono conservate diversi interventi di Wildt che testimoniano il grande successo che ebbe presso l’alta borghesia milanese della sua epoca, basti ricordare Et Ultra, titolo dell’edicola realizzata per il coniugi Körner (1929) o il Monumento a Ulrico Hoepli (1924) tra gli altri. La quarta tappa del tour prevede la visita a due importanti luoghi di Milano: il Tempio della Vittoria di largo Gemelli e la sede della Statale di via Festa del Perdono, dove sono conservate rispettivamente l’originale in bronzo e il modello in gesso della grande Statua di Sant’Ambrogio (1928); la quinta tappa dell’itinerario porta il visitatore in via Serbelloni, 10 dove si può ancora oggi vedere il grande Orecchio di bronzo (1927) che serviva da “citofono” per il custode del Palazzo Sola-Busca; l’ultima tappa di questo percorso per le vie e i luoghi di Milano legati a Wildt porta in via Cappuccini, 8 dove nell’atrio del palazzo Berri-Meregalli si trova dal 1935 la Vittoria (1918-1919).
Una mostra imperdibile e da tempo attesa nella città dove maggiormente Wildt ha lasciato il suo segno, sia con le sue opere che con i suoi insegnamenti. Un omaggio doveroso al più grande scultore italiano della prima metà del Novecento, dimenticato a partire dal dopoguerra per la sua vicinanza al regime, oggi viene finalmente riscoperto e avvicinato al grande pubblico.
Noi non possiamo che consigliarvi di visitare questa mostra e di lasciarvi catturare dalla potenza delle emozioni che le sculture di Wildt sanno trasmettere.
Adolfo Wildt (1868-1931)
L’ultimo simbolista
Milano, GAM – Villa Reale
27 novembre 2015 – 28 febbraio 2016
a cura di Paola Zatti
con la collaborazione scientifica dei Musées d’Orsay et de l’Orangerie di Parigi
catalogo Skira
gam-milano.it
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