Al Teatro alla Scala di Milano ha debuttato il 2 febbraio scorso il Falstaff di Giuseppe Verdi, con la regia di Damiano Michieletto, terzo titolo della stagione d’Opera 2016/2017.
Lo spettacolo (produzione del 2013 del Festival di Salisburgo) che rientra nel gruppo di produzioni salisburghesi portate a Milano dal sovrintendente Alexander Pereira (assieme al Lucio Silla del 2015, al Der Rosenkavalier della scorsa stagione e al recente Don Carlo) era sicuramente una delle produzioni più attese della stagione scaligera, non solo per il ritorno sul palco del Piermarini del Falstaff per antonomasia Ambrogio Maestri, ma anche per l’arrivo a Milano dello spettacolo più milanese (e non ultimo uno degli spettacoli più riusciti) di Damiano Michieletto. Tanto si è parlato di questo spettacolo e della visione (vi abbiamo accennato qualcosa qui) del giovane regista veneto, punto focale di questo allestimento scaligero.
In omaggio a Verdi e a quella che lui stesso ha chiamato “l’opera mia più bella”, Michieletto decide di ambientare la vicenda di Falstaff a Casa Verdi, la casa di riposo fortemente voluta dal compositore bussetano a sostegno di tutti i musicisti indigenti e supportata per anni dai diritti d’autore delle opere del Maestro. Falstaff e Casa Verdi hanno un legame imprescindibile: sono le due ultime “opere” di Verdi. Il progetto della casa di riposo per musicisti nasce nel 1891, anche se la costruzione vera e propria inizia a partire dal 1896. Nel mezzo nasce e debutta proprio Falstaff, quella che potrebbe essere definita come “l’opera che non ti aspetti”. Verdi aveva abbandonato in gioventù i soggetti comici dopo il fiasco di Un giorno di regno e non ci si era più avvicinato. Dopo il successo di Otello e ormai affermatosi come il più importante compositore italiano vivente, Verdi mette le mani su un soggetto farsesco tratto da uno dei drammaturghi da lui più amati, William Shakespeare. Ad aiutarlo nell’impresa il librettista Arrigo Boito che collabora col Maestro sin dal rimaneggiamento del Simon Boccanegra. Il soggetto di Falstaff è buffo, ma non mancano numerose riflessioni sulla vita e sulla vecchiaia, tanto da poter riconoscere nell’opera una sorta di testamento spirituale del Maestro di Busseto. A nostro parere l’allestimento pensato da Damiano Michieletto bene si adatta ad incarnare questo testamento spirituale. Lontano dall’essere un Falstaff scoppiettante, questa produzione sottolinea gli aspetti più meditativi e nostalgici della vicenda. Falstaff così è un sogno nella mente di un cantante ospite di Casa Verdi che si trova a rivivere una messinscena dell’opera verdiana che durante la carriera aveva tante volte interpretato. I personaggi gli stanno intorno come fantasmi, apparendo e scomparendo, prendendo a volte le sembianze degli ospiti della casa di riposo. Le varie scene dell’opera rivivono dentro al salotto di Casa Verdi (minuziosamente ricostruito dalle belle scene di Paolo Fantin) trasfigurando elementi della vita quotidiana della casa. Ne è un esempio su tutti la scena della caduta di Falstaff dentro al cesto della biancheria nel Tamigi: in questa versione niente Tamigi, niente cesto della biancheria, ma Falstaff circondato da un grande lenzuolo viene sommerso da una miriade di coriandoli azzurri e blu che ricreano così il tuffo nelle acque del fiume. La vicenda è ricreata con eleganza e con rispetto sia nei confronti dell’opera verdiana che rispetto ai luoghi dove si è scelto di ambientarla. A nostro parere si è trattata quindi di una regia che riesce ad emozionare lo spettatore, riuscendo ad aggiungere livelli ulteriori di significato e di lettura a quelli che già presenti nell’opera. Non ci si può in fondo non commuovere quando il vecchio che interpreta Falstaff si risveglia dal sogno e abbraccia l’album dei suoi ricordi che lo vedevano tante volte protagonista e la mente non può non riandare al vecchio Verdi, arrivato alla sua ultima opera. Belli i costumi (rivisitati in occasione della ripresa scaligera) opera di Carla Teti.
La parte musicale era affidata ad un cast di esperienza, in parte già collaudato proprio sul palcoscenico scaligero nelle precedenti produzioni di Falstaff. Sul podio il maestro Zubin Mehta, la cui direzione rappresenta probabilmente l’unico neo di questa produzione scaligera. I tempi scelti da Mehta sono a tratti troppo dilatati e l’incedere troppo solenne, mancando quella vivacità caratteristica propria della partitura di Falstaff. Pensiamo che questa scelta di tempi e di colori da parte del maestro indiano sia da attribuire anche ad un accordo tra buca e palcoscenico, nell’idea di rendere così uniforme la visione registica proposta da Michieletto e supportata da Mehta. Nel ruolo del titolo c’era Ambrogio Maestri che, giunto ad oltre 250 Falstaff in tutta la sua carriera, rappresenta una certezza per la sua immedesimazione del ruolo, ma anche per la voce baritonale che riesce a correre senza problemi per tutta la sala in modo preciso e puntuale. Lo accompagnava il Ford di Massimo Cavalletti, sicuro e spavaldo vocalmente e attorialmente molto convincente. Il loro duetto nel secondo atto risulta essere un momento musicalmente elevato e ben riuscito. Completano il cast maschile il leggero Fenton di Francesco Demuro (anche lui presente nelle ultime produzioni scaligere di Falstaff) e l’incontenibile Dottor Cajus di Carlo Bosi. Il quartetto femminile poteva contare su cantanti di esperienza, a partire dalla Alice Ford di Carmen Giannattasio, dalla bella e sinuosa voce lirica, e dalla Mrs. Quickly di Yvonne Naef che ha ben cantato con una fascinosa voce da contralto il ruolo della comare più anziana. L’applaudita Annalisa Stroppa era Meg, mentre Giulia Semenzato ha prestato la sua cristallina voce sopranile al ruolo di Nannetta, risolto in modo molto efficace sia a livello vocale che interpretativo.
Una bella serata di musica, che ben ci fa sperare dopo il deludente Don Carlo. La stagione scaligera ci propone altro Verdi all’orizzonte con la ripresa di uno degli allestimenti più amati, La Traviata di Liliana Cavani.
Teatro alla Scala
2 -21 febbraio 2017
Falstaff
Commedia lirica in tre atti
Musica di Giuseppe Verdi
libretto di Arrigo Boito
Sir John Falstaff Ambrogio Maestri
Ford Massimo Cavalletti
Fenton Francesco Demuro
Dott. Cajus Carlo Bosi
Bardolfo Francesco Castoro
Pistola Gabriele Sagona
Mrs. Alice Ford Carmen Giannattasio
Nannetta Giulia Semenzato
Mrs Quickly Yvonne Naef
Mrs Meg Page Annalisa Stroppa
Pianista in Casa Verdi Beatrice Benzi
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
direttore Zubin Mehta
maestro del Coro Bruno Casoni
regia Damiano Michieletto
scene Paolo Fantin
costumi Carla Teti
luci Alessandro Carletti
video Roland Horvath
Produzione Salzburger Festspiele