Don Carlos, Giuseppe Verdi, Philippe Jordan, Krzysztof Warlikowski, Jonas Kaufmann, Sonya Yoncheva, Agathe Poupeney, Elīna Garanča, Ludovic Tezier, Ildar Abdrazakov

Tra le “stelle” del Don Carlos parigino

L’Opera di Parigi sta ospitando in queste settimane quello che probabilmente è uno degli eventi più attesi di questa stagione 2017/2018 dal mondo della lirica, ossia il Don Carlos nella versione francese in 5 atti del 1866, con un cast stellare da far invidia a qualsiasi teatro europeo. L’interesse nei confronti di questa produzione parte dalla scelta della versione messa in scena: non solo è quella francese in cinque atti, che già di per sé è difficilmente ascoltabile nei teatri, ma si tratta del primissimo Don Carlos, quello che Verdi consegna ai cantanti per imparare la parte prima del debutto ufficiale del 1867 e quindi prima dei rimaneggiamenti che il compositore bussetano vi apporterà. Si tratta di un unicum e quindi di un’occasione davvero rarissima che moltissimi appassionati hanno deciso di non perdersi. Soprattutto perché sul palcoscenico c’erano alcuni degli interpreti più amati oggi del panorama lirico internazionale, a partire da Jonas Kaufmann, per la prima volta impegnato nel ruolo en français. Al suo fianco facevano il debutto Sonya Yoncheva (per la prima volta Elisabeth) e Elīna Garanča nel ruolo di Eboli. Impegnati nei ruoli maschili c’erano Ludovic Tézier nel ruolo di Rodrigue e Ildar Abdrazakov in quello di Philippe II. Si è trattato di un cast invidiabile e che non ha mancato di offrire un’ottima prova e di entusiasmare il pubblico parigino. Spicca su tutti, il mezzosoprano lettone impegnato in una delle parti più impervie che Verdi ha scritto per la corda di mezzo, quella di Eboli. La Garanča ha saputo offrire una sfavillante performance canora ed un’ottima interpretazione della principessa spagnola, sapendo usare al meglio la sua voce vellutata capace di svettare in acuti davvero importanti. La sua O don fatal è stato sicuramente uno dei momenti più emozionanti di tutta l’opera. Vicino a lei stava l’applauditissimo Philippe del basso Ildar Abdrazakov che con voce brunita, salda ed espressiva ha saputo raccontarci un Philippe estremamente tormentato. Altrettanto buone le prestazioni degli altri cantanti, a cominciare da Jonas Kaufmann. Il tenore tedesco era molto atteso in questa produzione, in parte perché da tempo non si confrontava con il personaggio di Don Carlo e in parte perché mai aveva cantato la versione francese. Kaufmann ha cantato al meglio, sfruttando il suo magnifico brunito timbro vocale, riuscendo a mostrarci il lato più struggente e sofferto del personaggio, grazie alle splendide mezzevoci. Ottima anche la Elisabeth del soprano bulgaro Sonya Yoncheva. Come già dimostrato anche nel suo debutto scaligero, la Yoncheva ha una voce squisitamente lirica e ha offerto un’interpretazione vocale tecnicamente solida e molto coinvolgente, soprattutto nell’aria finale Toi qui sous le néant des grandeurs de ce monde che ha sicuramente rappresentato uno dei momenti più emozionanti della serata. Una certezza anche l’interpretazione del baritono francese Ludovic Tézier, perfettamente a suo agio nella parte francese, sicuro vocalmente, anche se forse un po’ freddo nell’interpretazione. Completava il cast il basso Dimitry Belosselskiy nella parte del Grande Inquisitore, risolto con buon peso vocale. Sul podio a guidare questo cast di stelle c’era il direttore musicale dell’Opéra, Philippe Jordan. Jordan non è solito dirigere di frequente Verdi e forse questo aspetto lo si percepisce nella sua direzione e interpretazione. Anche se comunque il Verdi di questa versione è differente per certi versi al Verdi del Don Carlo che siamo abituati ad ascoltare, la direzione di Jordan è precisa e puntuale, ma si dimostra anche quindi per certi versi fredda e distaccata. L’orchestra lo segue però alla perfezione, così come il coro diretto da José Luis Basso.

Se la parte musicale ha riservato grandi emozioni e non ha tradito le aspettative, la regia è risultata alquanto problematica, dimostrandosi il vero anello debole dell’intera produzione. Il regista Krzysztof Warlikowski ha ambientato l’intera vicenda in una fantomatica corte spagnola degli anni sessanta/settanta tra le inquietanti ombre del franchismo e del cattolicesimo di stato spagnolo; cercando di scavare a fondo sulla solitudine che caratterizza i vari protagonisti della vicenda.
L’atto di Fontainebleau che apre l’opera non è ambientato a Fontainebleau ma bensì nella stanza/cella di Don Carlos nel monastero di San Yuste in Estremadura ed è pensato come un’unica visione/delirio che l’infante rivive in prima persona dopo il tentato suicidio a seguito del matrimonio tra Philippe ed Elisabeth (tentato suicidio che verrà mostrato più volte grazie a delle proiezioni); la stanza di Carlos (e quindi anche il suo spazio d’azione) è posta al margine della scena, proprio sulla ribalta del palcoscenico divisa da un fascio di luce dalla scena vera e propria. Il secondo atto che segna il ritorno al “tempo presente” della narrazione inizia, senza soluzione di continuità con il primo atto, con la visita dello spettro di Carlo V a Don Carlos quando questi si sta lentamente riprendendo dal suo delirio. Il “sito ridente alle porte del chiostro di San Giusto” è risolto da Warlikowski come una grande palestra dove le ancelle della regina guidate dalla principessa d’Eboli stanno tirando di fioretto; mentre i giardini della regina che aprono il terzo atto non sono altro che i suoi appartamenti semplicemente risolti con una toeletta con specchio in mezzo al grande palco praticamente vuoto. Ma è dal terzo atto che Warlikowski interviene maggiormente sul racconto e sulla linea narrativa e temporale dell’opera. La scena monumentale dell’Autodafé (ambientata in quello che a tutti gli effetti pare un emiciclo parlamentare) è messa in secondo piano perché in primo piano vediamo una nuova scena che temporalmente si colloca a metà del quarto atto tra la scena nello studio del sovrano e quella della morte di Rodrigue nel carcere dove è rinchiuso Don Carlos. In questa nuova scena vediamo un Philippe II distrutto dal rimorso e dal dolore, ubriaco che viene vestito in vista dell’autodafé. Non è facile di primo acchito comprendere i motivi che hanno spinto il regista polacco a spostare temporalmente la vicenda. Warlikowski si focalizza di sicuro sullo sviluppo dei singoli personaggi e, come già detto, sulla loro solitudine. Una grande scena d’insieme, come quella dell’Autodafé forse spostava l’attenzione dal dramma intimo dei protagonisti e per questo viene messa in secondo piano, per mostrarci ancora una volta il dolore di Philippe. L’opera si conclude dov’era iniziata, nella cella di Don Carlos del monastero di San Yuste dove si ritrovano i due sfortunati amanti per l’ultima volta, raggiunti da Philippe e dal fantasma del vecchio Carlo V che sembra fermare Carlos nel suo tentativo di suicidio.

Uno spettacolo complesso, musicalmente ineccepibile che ha visto il trionfo delle grandi voci (Garanča, Abdrazakov e Kaufmann in particolare) protagoniste, ma allo stesso tempo godibile e sostanzialmente coerente con se stesso che scorre senza grossi problemi per tutti e cinque gli atti; tuttavia risulta difficilmente decifrabile dopo un sola visione e che ci ha lasciati un po’ perplessi se paragonato al grandioso cast. Si tratta però in assoluto di un’occasione unica, per andare alle origini di una delle opere verdiane più emozionanti e farlo con un cast eccezionale.

In scena fino all’11 novembre con un secondo cast altrettanto interessante: vicino a Ildar Abdrazakov e a Ludovic Tézier, canteranno Pavel Černoch (Don Carlos), Hibla Gerzmava (Elisabeth) ed Ekaterina Gubanova (Eboli).


Opéra National de Paris
Opéra Bastille | 28 ottobre 2017

 

Don Carlos
opera in cinque atti

musica | Giuseppe Verdi
libretto | Joseph Méry e Camille du Locle


Philippe II | Ildar Abdrazakov

Don Carlos | Jonas Kaufmann
Rodrigue | Ludovic Tézier
Le grand inquisiteur | Dimitry Belosselskiy
Elisabeth de Valois | Sonya Yoncheva
Eboli | Elīna Garanča
Un moine | Krzysztof Baczyk

 

Orchestra e coro de l’Opéra national de Paris

 

direttore | Philippe Jordan
regia | Krzysztof Warlikowski
scene e costumi | Malgorzata Szczesniak
luci | Felice Ross

video | Denis Guéguin
coreografia | Claude Barouil
drammaturgia | Christian Longchamp
maestro del coro | José Luis Basso

 


operadeparis.fr

 

 

ph. Agathe Poupeney – Opéra National de Paris


 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *