Vladimir Stoyanov as Yeletsky and cast in The Queen of Spades (C) ROH 2018. Photographed by Catherine Ashmore; dama di picche, Royal Opera House, Čajkovskij

La Dama di Picche alla Royal Opera House di Londra

Alla Royal Opera House di Londra ha debuttato lo scorso 13 gennaio la nuova produzione de La Dama di Picche diretta da Antonio Pappano. Il capolavoro di Čajkovskij mancava a Londra dal 2002 e quindi alte erano le aspettative anche per lo spettacolo curato dal regista norvegese Stefan Herheim che già aveva visto la luce due anni fa alla De Nationale Opera di Amsterdam. Herheim interviene fortemente sulla drammaturgia dell’opera e questo lo spettatore lo intuisce già da prima dell’inizio dello spettacolo quando con un semplice messaggio viene informato delle circostanze in cui il compositore Čajkovskij si è tolto la vita. Perché protagonista di questa Dama di Picche è Čajkovskij stesso e tutto parte proprio dal momento del suicidio, avvenuto presumibilmente a causa di un bicchiere d’acqua infettato dal colera che il compositore russo avrebbe deciso deliberatamente di bere in seguito alle notevoli difficoltà e disagi che percepiva interiormente a causa della sua omosessualità. E’ questo il punto di partenza per tutta la drammaturgia rivista dal regista insieme al suo dramaturg Alexander Meier-Dörzenbach che quindi rielabora la vicenda per raccontarci il dramma interiore vissuto dal compositore russo, riflesso nella storia e nei protagonisti dell’opera. Amore, morte, musica sono i temi presenti nella vicenda di Hermann, Liza, della Contessa e del Principe Yeletsky che bene si intrecciano alla triste vita del compositore, segnata da amori che per vari motivi non potevano essere corrisposti, morti tragiche o tentati suicidi che lo segnano profondamente e dalla musica, “il più bel regalo che il cielo possa fare ad un uomo che vaga nell’oscurità”.

Da qui la decisione quindi di Herheim di rispecchiare ogni singolo quadro nella vita di Čajkovskij, specialmente in quella porzione di vita in cui il compositore decise di sposarsi per trovare conforto nella normalità, senza però riuscirci, ma anzi, uscendone provato più che mai. Il principe Yeletsky (unico personaggio non presente nella novella di Puškin a cui il libretto si ispira) è il nostro Čajkovskij, sempre presente sulla scena, intento ad orchestrarla e a dirigerla, interagendo direttamente con tutte le vicende. Lo spettacolo è quindi costruito del tutto su uno straordinario gioco di citazioni e rimandi alla biografia del compositore russo, effetto che può inizialmente destare qualche perplessità o risultare per alcuni probabilmente soffocante nei confronti della vicenda originale, ma che in realtà ci presenta un interessante chiave di lettura alternativa, portandoci a riflettere costantemente e perché no, ad indagare ancora di più su un compositore tra i più amati. Meraviglioso risulta l’imponente impianto scenico di Philipp Fürhofer che ha curato anche i costumi. Ottimo il disegno luci di Bernd Purkrabek.

La parte musicale alterna luci e ombre. Antonio Pappano dirige con musicalità e lirismo l’intensa musica di Čajkovskij, riuscendo a comunicarne gli aspetti più briosi (specialmente nell’intermezzo mozartiano del II atto), sia quelli più drammatici, ottenendo un’ottima prova sia dall’orchestra della Royal Opera House che dal Royal Opera Chorus preparato da William Spaulding. Nel cast splende la prova del baritono Vladimir Stoyanov, impegnato nel doppio ruolo di Principe Yeletsky e del compositore Čajkovskij. Stoyanov rende meravigliosamente, con ottimo colore baritonale l’aria del Principe, uno dei momenti più alti della serata, guadagnandosi un caloroso applauso dal pubblico. Magnifica anche la prova di Felicity Palmer nel ruolo della Contessa. Il pubblico incantato ha ascoltato in religioso silenzio la nostalgica canzone Je crains de lui parler la nuit, cantata con preziosi pianissimi e variazioni di volume. Ottima anche la prova del mezzosoprano russo Anna Goryachova nel ruolo di Pauline e di John Lundgren in quello di Tomsky. Purtroppo meno incisivi sono risultati i due protagonisti. Aleksandrs Antonenko vestiva i panni di Hermann, ma a fronte di una voce tenorile ben proiettata, l’emissione risultava sporca e il registro acuto molto affaticato. Anche interpretativamente Antonenko risulta poco coinvolto nel ruolo. Il soprano olandese Eva-Maria Westbroek interpretava invece Liza, ruolo lirico che forse oggi le sta un po’ stretto frequentando ruoli sempre più drammatici. Paga lo scotto soprattutto nel registro acuto nei momenti più concitati dell’opera.

Ottima l’accoglienza del pubblico per tutti i protagonisti con punte di entusiasmo per Stoyanov, Palmer e soprattutto per l’amato Antonio Pappano. Pikovaya dama sarà in scena alla Royal Opera House fino al 1 febbraio. Per coloro che anche in Italia non vogliono perdersi questa produzione, l’appuntamento è per il 22 gennaio alle 19.45 nei cinema del circuito NexoDigital.

Davide Marchetti


Royal Opera House
Londra | 13 gennaio 2019

La Dama di Picche
Opera in tre atti

musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij
libretto di Modest Il’ič Čajkovskij e Pëtr Il’ič Čajkovskij
tratto dalla omonima novella di Aleksandr Sergeevič Puškin


Hermann | Aleksandrs Antonenko

Chekalinsky | Alexander Kravets
Surin | Tigran Martirossian
Conte Tomsky / Zlatogor | John Lundgren
Čajkovskij / Principe Yeletsky | Vladimir Stoyanov
Contessa | Felicity Palmer
Liza | Eva-Maria Westbroek
Paulina / Milovzor | Anna Goryachova
Masha | Renata Skarelyte
Governante | Louise Winter
Mastro cerimoniere | Harry Nicoll
Prilepa | Jacquelyn Stucker
Chaplitsky | Konu Kim
Narumov | Michael Mofidian


Royal Opera Chorus &

Orchestra of  Royal Opera House

direttore | Antonio Pappano
maestro del coro | William Spaulding
regia | Stefan Herheim
scene e costumi | Philipp Fürhofer
luci | Bernd Purkrabek
drammaturgia | Alexander Meier-Dörzenbach

Coproduzione con la Dutch National Opera di Amsterdam


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