Al Teatro alla Scala di Milano è tornato in scena, dopo 21 anni di assenza uno dei massimi capolavori di Musorgskij, Chovanščina, dramma musicale popolare che porta l’ascoltatore dritto al cuore della storia russa. Opera monumentale, seconda parte di una trilogia dedicata dal compositore russo alla storia del suo paese (purtroppo mai completata), Chovanščina dipinge a tinte fosche la Russia alla prese con le lotte di potere successive alla morte di Fëdor III che portarono poi all’incoronazione di Pietro il Grande. In scena troviamo i diversi gruppi sociali che formavano la società russa di quel periodo: dai membri della guardia reale zarista (gli strel’cy) ai nobili boiardi, passando per i filo-occidentali e i raskol’niki, i cosiddetti vecchi credenti, coloro che rifiutavano le riforme ecclesiastiche del patriarca Nikon. Nell’opera troviamo alcuni rappresentanti di queste categorie (il boiaro Ivan Chovanskij che guida la rivolta degli strel’cy; il filo-occidentale Golicyn, il capo dei raskol’niki Dosifej…), ma al centro c’è il popolo, protagonista degli importanti cambiamenti di quell’epoca, nonché vero protagonista di quest’opera. E’ sicuramente questa dimensione corale che emerge di prepotenza dalla imponente produzione scaligera diretta da Valery Gergiev. Alla testa di un’orchestra scaligera in ottima forma, il direttore russo sceglie di dirigere l’orchestrazione di Šostakovič (con un finale però diverso, da lui direttamente approntato), regalando al pubblico un’esecuzione sofferente, intensa e profonda, dove ogni momento musicale, ma anche ogni silenzio diventano tasselli di una lettura intrisa di drammaticità e misticismo. Accanto alla maiuscola prova musicale di Gergiev e dell’orchestra, da ricordare è la prova del coro del Teatro alla Scala magistralmente preparato da Bruno Casoni, che in quest’opera risulta il vero e proprio protagonista, dando voce di volta in volta ai moscoviti, agli strel’cy, ai vecchi credenti, ai soldati di Pietro e semplicemente al popolo. Di alto livello anche il cast dei solisti. Il basso Mikhail Petrenko interpretava un espressivo e autorevole Ivan Chovanskij, dall’importante presenza scenica, contrapposto al mistico Dosifej di Stanislav Trofimov dalla voce di basso ben proiettata, ma forse un po’ leggera per la tipologia di ruolo. Buona prova anche per i due tenori: da un lato Sergey Skorokhodov impegnato come un ardito Andrej Chovanskij, dall’altro il Golicyn di Evgeny Akimov. Ottima la breve prova di Alexey Markov come Šaklovity. Il comparto femminile ha potuto contare sull’eccellente Marfa di Ekaterina Semenchuk: bellissima voce mezzosopranile, calda, omogenea, ben proiettata e giustamente drammatica. Accanto a lei ottima anche la Emma di Evgenia Muraveva e la Susanna di Irina Vashchenko. Chiudevano il cast principale lo scrivano di Maxim Paster e il pastore luterano di Maharram Huseynov, insieme ai numerosi comprimari: Lasha Sesitashvili (Varsonof’ev), Sergei Ababkin (Kuz’ka Strelec), Eugenio Di Lieto e Giorgi Lomiseli (due strel’cy) e Chuan Wang (Uomo di fiducia di Golicyn).
La regia di quest’opera monumentale è stata affidata a Mario Martone che negli ultimi anni alla Scala ha firmato l’inaugurale Andrea Chénier e La cena delle beffe. Martone sceglie di ambientare il gioco di potere della Russia del Seicento in un drammatico futuro non ben definito, in una sorta di distopia sullo sfondo di una Mosca tetra e in declino (grazie anche alle scenografie curate da Margherita Palli insieme alle proiezioni video di Italvideo Service). Lo spettacolo risulta imponente e molto efficace nel muovere le masse corali, così come ottima risulta la preparazione attoriale dei protagonisti. Nonostante il cambio temporale di ambientazione, il regista napoletano si accosta alla complessa drammaturgia di Chovanščina non stravolgendola, ma cercando di renderla universale, raccontandoci così l’eterna lotta di potere che travolge e travolgerà le civiltà di tutti i tempi. Ottime le luci curate da Pasquale Mari (particolarmente significative nella spettacolare scena finale, dove i vecchi credenti sembrano davvero e totalmente immersi nel fuoco) e in linea con l’ambientazione i costumi di Ursula Patzak.
Chovanščina vi aspetta al Teatro alla Scala fino al 29 marzo: un’occasione da non perdere per assaporare questa opera monumentale che per quattro ore e mezza affascina e coinvolge gli spettatori.
Davide Marchetti
Teatro alla Scala
Milano | 13 marzo 2019
Chovanščina
libretto e musica di Modest Petrovič Musorgskij
Principe Ivan Chovanskij | Mikhail Petrenko
Principe Andrej Chovanskij | Sergey Skorokhodov
Principe Vasilij Golicyn | Evgeny Akimov
Šaklovityj | Alexey Markov
Dosifej | Stanislav Trofimov
Marfa | Ekaterina Semenchuk
Susanna | Irina Vashchenko
Scrivano | Maxim Paster
Emma | Evgenia Muraveva
Pastore luterano | Maharram Huseynov
Varsonof’ev | Lasha Sesitashvili
Kuz’ka Strelec / Strešnev | Sergei Ababkin
I strelec | Eugenio Di Lieto
II strelec | Giorgi Lomiseli
Uomo di fiducia di Golicyn | Chuan Wang
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala
direttore | Valery Gergiev
maestro del coro | Bruno Casoni
regia | Mario Martone
scene | Margherita Palli
costumi | Ursula Patzak
luci | Pasquale Mari
coreografia | Daniela Schiavone
video | Italvideo Service
ph. Brescia & Amisano