In attesa di parlarvi dell’Ariadne auf Naxos di Strauss, riferiamo della tanto attesa e discussa Manon Lescaut di Puccini. Riccardo Chailly ha creato molta aspettativa intorno alla riproposizione della versione originale dell’opera. Un vero peccato che in quest’occasione il programma di sala non sia corredato di un articolo nel quale sia illustrato, con dovizia di particolari, come e dove si è intervenuti nel ripristinare una versione che vale comunque la pena ascoltare una volta nella vita. I cambiamenti più evidenti sono il concertato che conclude il primo atto (per nulla memorabile) e una differente versione della romanza “Sola, perduta, abbandonata” riservata alla protagonista nell’ultimo atto.
David Pountney imposta la regia su un’unica trovata: Manon morente rivive la sua vita comprendendo forse gli errori che l’hanno portata ad una fine così infelice e prematura. Non c’è passione, non c’è redenzione, solo amore mercenario e un impianto scenico grandioso (ideato da Leslie Travers) capace di entusiasmare anche lo spettatore più disattento. La dovizia di particolare con la quale i singoli ambienti sono descritti è encomiabile. Lo sforzo dal punto di vista scenotecnico merita un plauso. La vicenda ha luogo dapprima in una stazione con tanto di treni in movimento; successivamente all’interno di un convoglio (i cui vagoni si spostano in largo sul palcoscenico e uno di essi è persino dotato di una scala a chiocciola praticabile). Il terzo atto (il porto di Le Havre) vede poi la nave prendere il largo verso il nuovo mondo pronto ad essere popolato dagli outcast; nel quarto atto, infine, le vestigia della stazione che Manon ricorda, simbolo di una magnificenza ormai lontana, sormontano le dune semoventi illuminate da colori suggestivi. Meno incisivi nella loro ostentata opulenza appaiono i costumi di Marie-Jeanne Lecca mentre efficace si conferma il disegno luci di Fabrice Kebour.
La direzione di Riccardo di Chailly mette in luce i particolari più reconditi della partitura pucciniana. Meraviglioso è il secondo atto, il più riuscito a nostro avviso, nel quale si propende per un suono dal volume più contenuto consentendo alla protagonista di sfumare, piegando il canto ad esigenze interpretative più intime. Maria José Siri (Manon) è una professionista affidabile e preparata che non si lascia distrarre dalla presenza ansiogena e vocalmente discontinua di Marcelo Alvarez (annunciato indisposto prima del terzo atto). Bravi Massimo Cavalletti (Lescaut), Marco Ciaponi (Edmondo) e Alessandra Visentin (Un musico). Menzione a parte per l’ottimo Carlo Lepore (Geronte). Ottimi infine i complessi scaligeri e il coro, diretto da Bruno Casoni.
Davide Marchetti
Teatro alla Scala
Milano 19 aprile 2019
Manon Lescaut
Dramma lirico in 4 atti dall’omonimo romanzo di Antoine-François Prévost
Libretto di Luigi Illica, Domenico Oliva, Marco Praga
Musica di Giacomo Puccini
Manon | Maria José Siri
Lescaut | Massimo Cavalletti
Des Grieux | Marcelo Álvarez
Geronte | Carlo Lepore
Edmondo/Il maestro di ballo/ Lampionaio | Marco Ciaponi
L’oste | Emanuele Cordaro
Un musico | Alessandra Visentin
Sergente degli arcieri | Daniele Atonangeli
Un Comandante di Marina | Gianluca Breda
Musici | Barbara Lavarian, Roberta Salvati, Silvia Spruzzola, Julija Samsonova, Maria Miccoli
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
direttore | Riccardo Chailly
maestro del Coro | Bruno Casoni
regia | David Pountney
scene | Leslie Travers
costumi| Marie-Jeanne Lecca
coreografia | Dennis Sayers
luci | Fabrice Kebour
ph. Marco Brescia & Rudy Amisano