Al Teatro alla Scala di Milano è in scena fino al 17 giugno prossimo Die tote Stadt, capolavoro operistico di Erich Wolfgang Korngold prima di oggi inspiegabilmente mai rappresentato al Piermarini. Sin dal suo debutto, l’opera fu un vero e proprio trionfo per il giovane compositore che divenne in brevissimo tempo l’operista più rappresentato nei paesi di lingua tedesca dopo Richard Strauss. Bandita a causa dell’avvento dei nazisti, Die tote Stadt fu riscoperta nella seconda parte del Novecento e fortunatamente è da ormai tre decenni stabilmente presente nel repertorio dei più importanti teatri operistici. Fa eccezione per l’appunto la Scala dove l’opera è stata data in questa occasione in prima esecuzione assoluta e subito accolta con grande favore dal pubblico. Sul podio c’è Alan Gilbert, il direttore americano che dalla prossima stagione guiderà stabilmente la NDR Elbphilharmonie Orchestra di Amburgo, mentre la regia è affidata a Graham Vick.
Il lavoro di Gilbert e Vick insieme ha permesso a questa produzione di essere a tutti gli effetti una delle più interessanti di questa stagione scaligera. Ben seguito dall’orchestra scaligera, Alan Gilbert domina con attenzione e precisione il complesso tessuto sonoro di quest’opera ricca e fascinosa, che guarda a Strauss, ma che strizza anche l’occhio a Puccini; il direttore statunitense tiene alta la tensione drammaturgica presente in tutta l’opera, senza dimenticare però di sottolinearne gli afflati più lirici e toccanti, offrendo così al pubblico una concertazione profondamente sfaccettata, in grado di riportare le tante anime di questa composizione. Graham Vick propone uno spettacolo estremamente curato in ogni dettaglio e nella recitazione, che riesce a stupire di continuo il pubblico, portandoci all’interno del subconscio del protagonista, il triste vedovo Paul. A differenza del protagonista del romanzo da cui l’opera è tratta (Bruges-la-morte di Georges Rodenbach) che in preda alla disperazione e all’impossibilità di superare il lutto per la morte dell’amata moglie, uccide la ragazza che così tanto le somiglia, il protagonista dell’opera vive un percorso di redenzione grazie all’azione purificatrice di un sogno. E’ quindi all’interno della mente di Paul, nella sua dimensione più onirica che Vick ci porta grazie al suo spettacolo. La vicenda comincia all’interno di quello che pare essere un elegante salotto viennese tra gli anni Venti e Trenta circondato da bianche tende bouillonné. Quando le tende si sollevano ed un’americana con alcune fari si abbassa, entriamo all’interno del subconscio di Paul e viviamo il suo sogno/incubo, popolato di ciò che più desidera (l’amore di Marietta, simulacro della moglie morta), che si scontra con quanto egli teme: dal ballo dal Robert Le Diable che mostra a Paul una Marietta totalmente diversa da quella che si aspettava ad una processione religiosa con chierichetti che diventa poi quella di prigionieri deportati di lager nazisti, fino ad arrivare ad un enorme teschio, simbolo della morte. Terminato il sogno, le luci si alzano, le tende scendono di nuovo e tutto torna come se nulla fosse mai accaduto. E’ Paul però ad essere cambiato grazie al suo sogno, tanto che non avrà più neppure bisogno di quelle tende che sembravano proteggerlo dagli occhi degli altri e dai suoi incubi, cosicché Vick ci lascia con l’immagine di Paul che se ne va, rinato, sul palcoscenico totalmente spoglio, pronto a ricominciare. Di grande impatto le scene curate da Stuart Nunn (da citare il suggestivo rimando ai canali di Bruges attraverso degli schermi posizionati dietro al tendaggio bianco che sembrano riflettere i movimenti dell’acqua), così come appropriati i costumi sempre da lui firmati. Interessati le luci curate da Giuseppe Di Iorio.
Questa interessante produzione scenica ha avuto anche grande successo dal punto di vista musicale e canoro. Se abbiamo infatti già detto dell’ottima direzione di Alan Gilbert, non possiamo non partire dalla magnifica prova musicale e attoriale della protagonista, Asmik Grigorian. Dal momento in cui entra in scena, catalizza completamente l’attenzione del pubblico grazie alla sua presenza magnetica. Balla e recita in modo naturale e canta con altrettanta naturalezza senza lasciarsi spaventare dalle difficoltà del ruolo grazie ad una voce luminosa, perfettamente controllata e ben proiettata. Per il soprano lituano che debuttava alla Scala è stato un assoluto e meritato successo. Accanto a lei nei panni di Paul, c’era Klaus Florian Vogt, tenore usualmente impegnato in parti wagneriane, il cui chiaro colore vocale però perfettamente si adatta al ruolo del triste vedovo insicuro e inquieto. Nonostante qualche sfasatura in zona acuta, la sua prova è comunque da premiare. Ottimo inoltre il Frank di Markus Werba, emozionante interprete nel Lied di Fritz il Pierrot. Buona anche la prova di Cristina Damian nei panni della cameriera Brigitte. Completano il cast Sascha Emanuel Kramer (il conte Albert/Gaston), Marika Spadafino (Juliette), Daria Cherniy (Lucienne), Sergei Ababkin (Victorin) e Hwan An (una voce).
Al termine della recita grandissimo successo per tutti gli interpreti, con punte di assoluto entusiasmo per l’affascinante prova di Asmik Grigorian. Nonostante rimanga un mistero il perché quest’opera così fascinosa e intrigante non sia approdata prima alla Scala, il pubblico milanese è stato fortunato di poter godere di una simile produzione che si attesta come una delle più interessanti di questa stagione.
Davide Marchetti
Teatro alla Scala
Milano | 3 giugno 2019
Die tote Stadt
Opera in tre quadri
musica di Erich Wolfgang Korngold
libretto di Paul Schott
libero adattamento del romanzo Bruges-la-morte di Georges Rodenbach
Paul | Klaus Florian Vogt
Marietta/Apparizione di Marie | Asmik Grigorian
Frank | Markus Werba
Brigitta | Cristina Damian
Il conte Albert/Gaston | Sascha Emanuel Kramer
Juliette | Marika Spadafino
Lucienne | Daria Cherniy
Victorin | Sergei Ababkin
una voce | Hwan An
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
direttore | Alan Gilbert
maestro del coro | Bruno Casoni
regia | Graham Vick
scene e costumi | Stuart Nunn
luci | Giuseppe di Iorio
coreografia | Ron Howell
ph. Brescia&Amisano