L’edizione 2019 della Musikfest Berlin si inaugura con un’esecuzione semiscenica del Benvenuto Cellini di Hector Berlioz diretta da quello che oggi è uno dei suoi interpreti rappresentativi: John Eliot Gardiner. Grandissimo successo per una recita cui hanno contribuito più che i solisti impiegati, con la dovuta eccezione del protagonista maschile Michael Spyres, l’Orchestre Revolutionnaire et Romntique e il Monteverdi Choir.
La vicenda trattata nell’opera trova ispirazione nella autobiografia di Benvenuto Cellini, la Vita, riscoperta solo a partire dal XVIII. La pubblicazione di una prima versione del manoscritto apparve nel 1728 e non aderisce appieno al testo nella sua forma filologica. Su questa si basano la prima traduzione inglese, quella tedesca del 1803 curata dallo stesso Goethe ed una prima francese seguirà nel 1822. I romantici identificarono nel fiorentino le loro stesse nevrosi: l’eroe-artista, tanto di moda, in lotta perenne con la realtà che lo circonda, la cui esistenza assume significato solo nell’atto divino della creazione dell’opera d’arte. Come anticipato, la fonte biografica non costituisce che un mero spunto alla realizzazione di un libretto in cui il luogo dell’azione è finanche spostato da Firenze a Roma. I due librettisti, de Wailly e Barbier, si ispirano per giunta alla traduzione di Farjasse, condotta su una versione molto più aderente all’orginale e pubblicata dall’editore fiorentino Francesco Tassi nel 1829. La prima dell’opera di Berlioz ebbe luogo all’Académie Royale de Musique il 10 settembre del 1838. L’accoglienza fu fredda, all’opera fu imputata scarsa cantabilità (comprensibile col gusto parigino dell’epoca) e non incontrò il gusto degli spettatori né della critica.
Il concetto di regia è di Noa Naamat, forte di un disegno luci semplice quanto efficace, si limita a esporre i fatti così come avvengono, senza aggiungervi trovate che rubino la scena a quella che in questa produzione dev’essere la protagonista assoluta: la musica.
Gardiner riesce a rendere con ineccepibile gusto e raffinatezza quello slancio irrefrenabile che, a partire dall’ouverture, si sprigiona lungo tutto il corso dell’opera. La tenuta tra l’orchestra, il coro e i solisti è ineccepibile anche nei momenti più ostici da coordinare. Il suono è nitido, il carattere interpretativo è sempre intriso di una vena nostalgica anche quando il tono è solo apparentemente giocoso. Salvo Spyres (nel ruolo del titolo), i protagonisti non riescono a imporsi su una lettura musicale complessiva così imponente se non in modo marginale. Se Sophia Burgos (Teresa) è aggraziata ed esegue con precisione e puntualità la sua cavatina del primo atto, Adèle Charvet (Ascanio) fatica, e non poco, in entrambi i numeri a lei riservati. Lionel Lhote (Fieramosca) è un baritono dal colore un po’ troppo chiaro forse per questo ruolo, e tra i bassi, a dispetto del bravissimo Maurizio Muraro (Balducci), Tareq Nazmi (Papa Clemente VII) non è dotato al momento della giusta ampiezza vocale per renderle al meglio gli interventi riservati al pontefice.
Philharmonie | Berlin
31 agosto 2019
Benvenuto Cellini
Opera semi-seria in due atti
musica | Hector Berlioz
libretto | Léon Wally e Henri-August Barbier
basato sull’autobiografia di Cellini
adattamento | Sir John Eliot Gardiner
Michael Spyres | Benvenuto Cellini
Sophia Burgos | Teresa
Maurizio Muraro | Giacomo Balducci
Adèle Charvet | Ascanio
Tareq Nazmi | Papa Clemente VII
Vincent Delhoume | Francesco
Lionel Lhote | Fieramosca
Ashley Riches | Bernardino
Duncan Meadows | Perseus
Orchestre Révolutionnaire et Romantique
Monteverdi Choir
Sir John Eliot Gardiner | direttore
Noa Naamat | regia
Rick Fisher | luci
Sarah Denise Cordery | costumi