Al Teatro alla Scala di Milano è in scena in queste settimane il terzo titolo della stagione 19/20, la nuova produzione de Il Trovatore di Verdi, nell’allestimento firmato per il Festival di Salisburgo del 2014 da Alvis Hermanis.
Alvis Hermanis torna con questo spettacolo alla Scala, dopo aver firmato l’affascinante allestimento della Madama Butterfly di Puccini che ha aperto la stagione 2016/2017; come vi accennavamo prima Il Trovatore proviene dal Festival di Salisburgo dove debuttò nell’estate del 2014 (fu uno dei titoli dello scandalo che nel 2014 coinvolse l’appena nominato sovrintendente Alexander Pereira e che arrivò quasi a costargli la poltrona). Il punto di partenza della regia di Hermanis è il ruolo centrale del racconto all’interno della drammaturgia del Trovatore. L’idea di partenza è piena di fascino e di richiami iconografici, in quanto il regista lettone sceglie di ambientare l’azione all’interno di una grande pinacoteca (dal gusto tipicamente mitteleuropeo), come se le storie raccontate dai diversi personaggi venissero amplificate dai quadri presenti sulle pareti, tanto che i personaggi rinascimentali quasi fuoriescono dalla cornice e si trovano coinvolti nella vicenda. In questa versione, Ferrando è una guida turistica che racconta al suo svogliato gruppo (che sembra uscito da una fotografia di Thomas Struth) la triste storia del Conte di Luna; Leonora ed Ines, sono due custodi del museo che raccontano le loro storie, immedesimandosi nei dipinti esposti; Azucena è un’altra guida e il Conte di Luna invece è una guardia notturna, che pare quasi venir travolto da questa macchina del tempo. L’unico personaggio che vive solo nel passato è Manrico, che pare vivere solo nelle storie raccontate dagli altri personaggi. Negli ultimi due atti la pinacoteca va a svuotarsi, quello che rimane sono pareti vuote e cornici accatastate che vanno a rappresentare una simbolica pira. Purtroppo il passaggio del grande palco della Großes Festspielhaus di Salisburgo a quello più piccolo del Piermarini ha obbligato ad una serie di modifiche allo spettacolo, che ne hanno alterato il risultato visivo compromettendo la riuscita di una messinscena che si basava più che altro proprio sulle affascinanti scenografie firmate dallo stesso Hermanis con Uta Gruber-Ballehr. Oltre infatti ad esse purtroppo l’idea di partenza non si sviluppa in modo coerente rispetto alla drammaturgia dell’opera, non riuscendo quindi a dare una visione di insieme che proponga una chiave di lettura che accompagni lo spettatore.
Alla testa dell’orchestra scaligera c’era Nicola Luisotti che ha concertato di tradizione, staccando tempi in certe situazioni eccessivamente dilatati per poi accelerare in alcune strette. Il direttore toscano sembra quasi mantenere un po’ di distanza dalla partitura, non riuscendo a far emergere gli aspetti da un lato più impetuosi, dall’altro più mistici del capolavoro verdiano. Bene l’intesa con l’ottimo coro scaligero preparato da Bruno Casoni.
Sul palco erano radunati alcuni volti noti delle stagioni scaligere, a partire dal Manrico di Francesco Meli. Anche in questa occasione, il tenore genovese si dimostra ottimo fraseggiatore e capace di suggestive mezze voci e di acuti saldi (anche se la pira lo trova molto prudente). L’interpretazione è misurata. Accanto a lui nei panni di Leonora Liudmyla Monastyrska. Il soprano ucraino ha voce dal peso importante e colore brunito, ma dizione perfettibile. Inizia la recita titubando un po’ sulla canaletta Di tale amor, ma la recita la vede crescere fino ad offrire un’ottima esecuzione dell’aria più impegnativa D’amor sull’ali rosee riuscendo perfettamente a seguire il languido ritmo tenuto dal Maestro Luisotti. Non aiutata dai costumi scenici previsti per il ruolo di Leonora, anche l’interpretazione la vede un po’ poco espressiva. Ottima l’esecuzione di Violeta Urmana nei panni di Azucena. Grande fraseggiatrice e interprete magnetica, riesce ad emozionare con una prova davvero maiuscola ed improntata a grande drammaticità. Anello debole del cast il Conte di Luna di Massimo Cavalletti. Il timbro è interessante, ma fatica a mantenere la linea di canto senza cadere in stonature come a volte purtroppo succede. Le note acute lo trovano in difficoltà e anche a livello interpretativo non riesce a comunicare appieno i dissidi interiori di questo interessante personaggio. Ottima la prova di Riccardo Massi nei panni di Ferrando, con voce sicura e ben timbrata. Completavano il cast Noemi Muschetti (Ines), Taras Prysiazhniuk (Ruiz), Giorgi Lomiseli (un vecchio zingaro) e Hun Kim (un messo).
Davide Marchetti
Teatro alla Scala
Milano | 9 febbraio 2020
Il Trovatore
dramma in quattro atti
libretto di Salvadore Cammarano
musica di Giuseppe Verdi
Il Conte di Luna | Massimo Cavalletti
Leonora | Liudmyla Monastyrska
Azucena | Violeta Urmana
Manrico | Francesco Meli
Ferrando | Riccardo Fassi
Ines | Noemi Muschetti
Ruiz | Taras Prysiazhniuk
Un vecchio zingaro | Giorgi Lomiseli
Un messo | Hun Kim
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
direttore | Nicola Luisotti
maestro del coro | Bruno Casoni
regia | Alvis Hermanis
collaboratore alla regia | Gudrun Hartmann
scene | Alvis Hermanis e Uta Gruber-Ballehr
costumi | Eva Dessecker
luci | Gleb Filshtinsky
video | Ineta Sipunova
ph. Brescia & Amisano