Al Teatro del Maggio in occasione dell’83 edizione del festival del Maggio Musicale Fiorentino va in scena una Forza molto inusuale, con la regia visionaria di Carlus Padrissa, le scene di Roland Olbeter e i costumi di Chu Uroz.
Il destino ci spinge verso un buco nero. Siamo liberi o siamo trascinati da questa forza?
Questa domanda, proiettata durante la sinfonia, ci accompagnerà mentalmente per tutta la serata, dando una lettura metafisica (e astrofisica) all’opera. Computer grafica, fotografie astronomiche e rappresentazioni di buchi neri si sposano con la musica di Giuseppe Verdi, amplificandone la drammaticità e rendendola quasi ansiogena. Le scene, che giocano con le linee dritte e la prospettiva, sembrano far cadere i protagonisti verso un punto di fuga centrale, il buco nero, che pare voglia risucchiare anche orchestra e pubblico con la sua forza di attrazione alla quale è impossibile sfuggire. E così, come i personaggi non possono sottrarsi al loro destino, anche il pubblico viene trascinato in un rito, un percorso forzato, che si ripete sempre uguale a ogni rappresentazione. Il colpo di pistola centrerà il povero Calatrava a ogni recita. Leonora, per quanto possa inseguire Alvaro, continuerà a perderne le tracce. Alvaro, scoprirà l’identità di Leonora sempre troppo tardi. Non c’è verso di cambiare la storia. Questa inesorabilità, secondo le note di regia riportate nel programma di sala, obbliga tutti quelli presenti in teatro a sottostare alla potenza di un destino scritto.
In questo scenario da allucinazione futuristica si muove un cast incredibilmente ben assortito, con solisti di altissima qualità vocale e interpretativa. Saioa Hernández è una Leonora eccellente. Al suo debutto nel suo decimo ruolo verdiano, riesce a reggere il peso di una parte complessa dal punto di vista vocale, scenico ed emotivo. Dall’inizio dell’opera fino al finale del quarto atto la sua voce squillante e dal gradevole vibrato riempie il teatro, passando orchestra e coro anche nei momenti musicali più fragorosi. Il suo canto di petto ha un gran volume, che può essere smorzato in pianissimi e filati sublimi, e i suoi acuti sono sicuri e affilati come lame. Molto apprezzate e applaudite le sue arie di punta e, in particolare, “Pace, pace, mio Dio”. Un ottimo debutto, insomma, per un ruolo che avrà modo di approfondire e sfaccettare ulteriormente nei prossimi anni. L’indio Don Alvaro è invece Roberto Aronica. Colpisce per l’apparente facilità con cui riesce a raggiungere le note più acute, senza mostrare alcuna fatica o sforzo. Ottimi il recitativo e la romanza del terzo atto “O tu che in seno agli angeli”, avvincente il duetto “Le minacce e fieri accenti” del quarto atto. Ottima prova, sia vocale che di recitazione. Il rivale, Don Carlo di Vargas, è Amartuvshin Enkhbat. Di grande presenza scenica, ha una potente voce da baritono verdiano, ampia e sicura sia nel registro grave che in quello acuto. Unita all’ottima pronuncia italiana, riesce a trasmettere tutta la forza e il sentimento che Verdi ha voluto per il personaggio di Don Carlo. Ottima l’aria con cabaletta del terzo atto “Urna fatale del mio destino”, dove può esprimere al meglio le sue doti vocali e attoriali. Alla “triade dell’opera”, soprano-tenore-baritono, si affiancano dei ruoli che sarebbe un peccato definire “secondari”, per quanto sono stati curati da Verdi e per quanto sono stati ben interpretati nello spettacolo visto ieri sera. Il marchese di Calatrava è Alessandro Spina, ottima voce di basso, riesce a rendere bene il repentino cambiamento dal canto sereno e affettuoso iniziale al rabbioso disprezzo per il tradimento subìto. La zingara Preziosilla è l’adorabile Annalisa Stroppa. Il mezzosoprano ha una bellissima voce, dal timbro brunito nei centri e nei gravi, buona anche nel registro acuto. La presenza scenica molto spontanea e disinvolta, unite alla capacità di recitare e ballare senza perdere la concentrazione, l’hanno resa un ottimo strumento nelle mani del regista, che ha valorizzato il personaggio di Preziosilla dandole ancora più lustro e fascino di quanto previsto nel libretto. Padre Guardiano è un meraviglioso Ferruccio Furlanetto. In formissima ieri sera, con un registro grave eccezionalmente pieno, scuro, molto adatto a un personaggio che con la sola forza della parola si dimostra autorevole e incute timore. Bellissimo il suo duetto con Fra Melitone. Quest’ultimo è interpretato da Nicola Alaimo, che ne fa una bellissima interpretazione, simpatica ma non eccessivamente caricaturale, ben riuscita sul piano musicale, specialmente nell’aria buffa del quarto atto, dove riesce a modulare la voce per assecondare il testo e le esigenze sceniche. Alla sua simpatia si aggiunge una voce scura e piena nei centri e nelle note basse. Molto buoni anche i ruoli più piccoli. Notevole il Mastro Trabuco di Leonardo Cortellazzi, voce squillante e gradevole vibrato, che interpreta anche un mulattiere e il rivendugliolo, con una buona prova di recitazione. Colpiscono, nelle loro pur piccole parti, le belle voci di Valentina Corò (Curra) e di Francesco Samuele Venuti (un Alcade). Voci ricche, brunite, gradevoli, che ci piacerebbe sentire in ruoli più ampi. Corretto, infine, il chirurgo di Roman Lyulkin.
Nelle opere di Verdi, si sa, il coro è ben più di un riempimento: è un attore vero e proprio, in molti casi co-protagonista. Nella serata di ieri, il coro del Maggio Musicale Fiorentino ha fatto un ottimo lavoro, con una buona resa delle pagine verdiane e contribuendo alla buona riuscita dello spettacolo anche grazie ai numerosi movimenti previsti dalla regia, che in più di un’occasione ha previsto suggestive interazioni con la platea.
L’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino ha dato prova di grande preparazione, sotto la direzione esperta del maestro Zubin Mehta. Suono sempre adatto al momento, volume e tempi sempre appropriati. Notevole l’assolo di clarinetto che apre il terzo atto.
Nel complesso, quindi, una recita ben riuscita che sicuramente ha lasciato soddisfatto il pubblico che, finalmente, torna a riempire (parzialmente) le sale dei teatri e si riprende quanto di bello ci è stato tolto. La regia, le scene e i costumi sicuramente sono di grande impatto visivo, grazie anche a bellissimi giochi di luci e proiezioni (Franc Aleu) e ai costumi scintillanti e luminescenti. Alcuni tra il pubblico in platea hanno lamentato che ci fossero forse fin troppi stimoli visivi, che possono distrarre o sovraccaricare lo spettatore “facendo venire il mal di testa”. L’idea inusuale di trasportare la vicenda nel tempo e nello spazio (anche nel senso cosmologico del termine) non cozza con il libretto verdiano (che sposta la vicenda dalla Spagna all’Italia e viceversa, pur facendo rincontrare miracolosamente tutti i personaggi nello stesso luogo) e non diminuisce la bellezza di quest’opera incredibilmente ricca e sfaccettata. Apre, anzi, a una nuova chiave di lettura, e porta anche lo spettatore a chiedersi se, in realtà, tutta la nostra vita non sia in mano alla forza del destino.
Roberto Cighetti
Teatro del Maggio Musicale Fiorentino
Firenze | 16 giugno 2021
La forza del destino
Melodramma in quattro atti
libretto di Francesco Maria Piave e Antonio Ghislanzoni
musica di Giuseppe Verdi
Donna Leonora | Saioa Hernández
Don Alvaro | Roberto Aronica
Don Carlo di Vargas | Amartuvshin Enkhbat
Preziosilla | Annalisa Stroppa
Padre Guardiano | Ferruccio Furlanetto
Fra Melitone | Nicola Alaimo
Il Marchese di Calatrava | Alessandro Spina
Mastro Trabucco | Leonardo Cortellazzi
Curra | Valentina Corò
Un Alcade | Francesco Samuele Venuti
Un chirurgo | Roman Lyulkin
Coro e Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
direttore | Zubin Mehta
maestro del coro | Lorenzo Fratini
regia | Carlus Padrissa
scene Roland Olbeter
costumi | Chu Uroz
luci e video | Franc Aleu
ph. © Michele Monasta – Maggio Musicale Fiorentino
Che bella recensione. Ricca di particolari. Mi invoglia a vedere questa opera che da come è descritta dev’essere meravigliosa.