L’Opernhaus Zürich riprende la produzione del Macbeth di Verdi presentata per la prima volta nella stagione 2015/2016 per la regia di Barrie Kosky. A dirigere è chiamato in quest’occasione Nicola Luisotti e a essere eseguita è la versione dell’opera del 1865, cantata in italiano, senza i ballabili, con << Mal per me>> (la morte di Macbeth), tratta dalla prima versione e a seguire il finale.
Uno spettacolo cupo dove l’assenza di elementi scenici non è compensata da un adeguato supporto del disegno luci. Due ore e mezza di buio quasi completo salvo una piccola porzione della ribalta che è l’unica dove i solisti agiscono effettivamente. Il tutto è forse strumentale a rappresentare la solitudine dei potenti, la miseria etica di chi ha compiuto atti deprecabili per conquistarselo quel potere o altri onanismi del genere; a risultarne è uno spettacolo che manca della benché minima caratterizzazione scenica e luminosa, la cui cupezza altro non porta che torpore. La banalità della cornice non è compensata con la recitazione, che si rivela un concentrato di luoghi comuni. I solisti recitano per gran parte del tempo da fermi ed è già un miracolo che riescano a guardare il direttore così da non sbagliare gli attacchi. Un Macbeth che si rispetti non può essere risolto solo con la complessità scenotecnica, come quello scaligero dello scorso dicembre, ma neppure con una sottrazione così estrema che porta al nulla. All’uscita dal teatro l’impressione è quella di aver assistito a un’esecuzione concertante al buio. A restare impressi nella mente sono solo una ventina di molesti figuranti (completamenti nudi) attraverso i quali si tocca anche il tema della fluidità di genere (elemento ormai imprescindibile di ogni spettacolo “concettuale” che si rispetti. Di tante produzioni firmate da Kosky alle quali abbiamo assistito negli ultimi tredici anni, questa è tristemente la meno riuscita.
Nicola Luisotti dirige in modo funzionale risollevando con la complicità dell’ottimo cast una produzione che nasce molto problematica. I tempi sono genericamente veloci ma favoriscono il fluire dell’azione, penalizzando un po’ le streghe nel terzo. Ottima è nel complesso la prova del coro diretto da Ernst Raffelsberger, con menzione per il comparto femminile che, pur non essendo di madrelingua italiana, se la cava egregiamente con un libretto ostico a pronunciarsi per gli stessi italiani.
Il cast è dominato da George Petean, un Macbeth eccellente che, oltre a cantare con perizia tecnica, cesella ogni frase con una nobiltà encomiabile. Il terzo atto resterà a lungo impresso nella nostra memoria per il <<Fuggi, regal fantasma>> dolente ma sempre misurato, senza ricorrere ad effetti espressivi tollerati anche in conclamati interpreti odierni. Vitalij Kowaljow è un Banco imponente dalla voce rigogliosa, nonostante la dizione sia perfettibile, esegue <<Come dal ciel precipita>> purtroppo applaudito solo tiepidamente. Peccato non sia apparso ai ringraziamenti al termine della recita. Veronika Dzhioeva (Lady Macbeth) ce la mette tutta nonostante insistenti tensioni nel registro acuto si manifestino sia dalla sortita. La coloratura non è esemplare però la cura del fraseggio e l’evidente comprensione del testo (sembra scontato ma non lo è affatto) ne fanno una interprete con ampi margini di miglioramento. Omer Kobiljak è un Macduff più che accettabile così come corretto si conferma Alejandro Del Angel (Malcom).
Applausi convinti e prolungati al termine della recita pomeridiana del 20 marzo con ovazioni all’indirizzo del protagonista.
Opernhaus Zürich
Zurigo | 20 marzo 2022
Macbeth
Dramma lirico in quattro atti
Libretto | Francesco Maria Piave
Musica | Giuseppe Verdi
Macbeth | George Petean
Banco | Vitalij Kowaljow
Lady Macbeth | Veronika Dzhioeva
Cameriera di Lady Macbeth | Bożena Bujnicka
Macduff | Omer Kobiljak
Malcolm | Alejandro Del Angel
Medico | Alexander Fritze
Servo di Macbeth, Assassino | Andrew Moore
direttore | Nicola Luisotti
regia | Barrie Kosky
scene e luci | Klaus Grünberg
assistente scenografo | Anne Kuhn
costumi | Klaus Bruns
direttore del coro | Ernst Raffelsberger
dramaturg | Claus Spahn
ph. Monika Rittershaus