Giovedì 6 ottobre è andata in scena al Teatro Regio di Parma la prima versione di Simon Boccanegra composta da Verdi nel 1857, con una lettura registica insolita e abbastanza divisiva. L’opera viene presentata nel contesto del Festival Verdi, che si conferma un evento di grande richiamo e dal respiro internazionale, come si può intuire dalla numerosissima presenza di stranieri tra il pubblico, alcuni che arrivano dall’altra parte del globo, e dalla cura con cui sono stati predisposti i sopratitoli anche in traduzione inglese (che possono aiutare anche chi parla italiano a comprendere alcuni passaggi del libretto linguisticamente intricati).
Dal punto di vista musicale e canoro la rappresentazione è stata particolarmente piacevole. Vladimir Stoyanov è impegnato nel ruolo principale del Doge. Voce ben proiettata, dai gravi sonori e corposi, intona e modula il suo canto in maniera adeguata al personaggio, con una ottima pronuncia. Molto sentito e ben eseguito il duetto “Figlia!… a tal nome palpito” con Amelia. Roberta Mantegna (Amelia) ha una voce melodiosa e setosa, ma arricchita da riflessi metallici; sempre a fuoco sulle note volute, esegue ottimi legati, mostrandosi capace di un’emissione di petto e piena nelle note centrali e nei gravi. L’ampia gamma di volumi e il corretto uso delle dinamiche consentono alla sua voce di riempire il teatro, dando significato alla parola cantata. Nella cabaletta “Il palpito deh frena” affronta le agilità senza alcuna difficoltà apparente, intonando perfetti acuti e vertiginose scale discendenti. L’aria della rivelazione a Simone, “Orfanella il tetto umile” è cantata tutto su un fiato con grande pathos, bisbigliata all’inizio come un segreto, aumentando poi il volume e l’intensità della narrazione. Piero Pretti (Gabriele Adorno) ha un bel timbro tenorile che ricorda quello dei grandi cantanti del passato, una linea di canto delicata ed elegante. Con l’aria “Cielo pietoso, rendila” ci regala un esempio di belcanto, mai sforzato, ma ricco di sentimento. Eccellente il duetto con Amelia “Sì, sì dell’ara il giubilo”, molto sonoro e coinvolgente. Meritatissimi i numerosi applausi ricevuti durante la serata. Buona prova anche il Fiesco di Riccardo Zanellato, dalla voce piena e abbastanza sonora. Già dall’aria “Il lacerato spirito“, nel prologo, è evidente la sua capacità di padroneggiare il mezzo vocale per garantire un canto e una interpretazione adatti al ruolo. I gravi, pienissimi e a fuoco, arricchiscono le arie come “A te l’estremo addio, palagio altero” o gli eccellenti duetti con Simone del primo atto (“No, la figlia del Grimaldi”) e del terzo atto, “Piango, perché mi parla”, cantato con voce autorevole e con il cuore in mano. Notevole l’aria “Delle faci festanti il barlume”, che ricorda un po’ la profezia di Zaccaria del terzo atto di Nabucco. Buono il Paolo Albiani di Devid Cecconi, con un canto più a suo agio nel registro acuto. Ben eseguita la sua aria “L’altra magion vedete?” nel prologo, che con i suoi tratti cupi e inquietanti introduce la vicenda in un modo che richiama l’aria di Ferrando in apertura del Trovatore.
Completano il cast Adriano Gramigni (Pietro), con voce dal notevole volume, e Chiara Guerra, corretta come ancella di Amelia. Eccellente il Coro del Teatro Regio di Parma, che mostra un’ottima modulazione dei volumi e ci offre un’interpretazione da brividi nel finale del primo atto “Giustizia, giustizia tremenda”, con tanto di coltello in mano sguainato verso il pubblico.
La direzione del maestro Riccardo Frizza riesce a ricavare un ottimo suono dalla Filarmonica Arturo Toscanini e a suscitare una gran varietà di emozioni, come nella suggestiva introduzione musicale all’entrata in scena di Fiesco, nel prologo. L’accompagnamento dell’orchestra è sempre gradevole, mai invasivo, e i tempi sono perfettamente calibrati per le esigenze delle voci e per mantenere alti il ritmo e vivacità della vicenda. Molto coinvolgente il concertato “Ella è salva” nel finale del primo atto, con un freeze generale quasi rossiniano, ma con dall’effetto decisamente non buffo.
La regia di Valentina Carrasco è stata la cosa che ha fatto più parlare riguardo a questo spettacolo. Alcuni spettatori non hanno infatti gradito l’ambientazione di alcune parti della vicenda in un macello, nonostante le motivazioni simboliche e storiche di questa scelta registica siano state spiegate sia nel programma di sala che in video disponibili online. Sia alla fine del prologo che all’inizio del secondo atto ci sono state sporadiche voci isolate e qualche contestazione per le scene ambientate nel macello. Sicuramente, mi stupisce molto che a Parma, patria del prosciutto, si osi fischiare dei maiali macellati! La regista parte da un’idea (che può essere più o meno condivisibile) e costruisce l’opera intorno a questa visione in modo coerente e sempre appropriato al testo del libretto, che non trova contraddizioni in ciò che avviene in scena. I momenti di maggior realismo, forti di una recitazione dei protagonisti molto ben diretta, si alternano a scene più simboliche, metaforiche, interpretate dai figuranti. Curati nel dettaglio i movimenti delle masse, dove i singoli individui sembrano avere una loro personalità, cosa che dà tridimensionalità e vita alla scena, che risulta quindi più credibile. Colpisce molto il netto cambio di scena e di mood tra il prologo e l’atto primo, quando si passa dal mattatoio cupo all’adorabile negozietto di fiori di Maria/Amelia, che è presentata mentre, sognante e piena d’amore, innaffia le sue piantine fiorite.
All’interno di questa visione registica particolare, sono molto efficaci le scene di Martina Segna e i costumi di Mauro Tinti, che ricreano fedelmente i luoghi ideati dalla regista, con tanto di camici, coltelli e guanti per gli impiegati del macello, per non parlare della bellissima festa dell’atto primo, con luci, festoni e persino il barbecue. Nel prologo, notevole il repentino cambio di colore delle luci, che dà l’idea di tensione e di gelo allorché Simone entra nella cella frigorifera che rappresenta la magione dei Fieschi. Allo stesso modo, le luci di Ludovico Gobbi contribuiscono a rendere molto più inquietante il duetto “De’ fuorusciti” tra Gabriele e Fiesco. Molto suggestivo il campo di grano mietuto che spunta dal palco sul finale dell’opera, poco prima della morte del Doge.
I numerosissimi applausi del pubblico entusiasta dimostrano che l’opera nel suo complesso è stata molto apprezzata, merito di un cast vocale molto preparato e di una narrazione registica che, pur se insolita, si è rivelata interessante, appropriata e coinvolgente.
Roberto Cighetti
Festival Verdi 2022
Teatro Regio
Parma | 6 ottobre 2022
Simon Boccanegra
Melodramma in un prologo e tre atti su libretto di Francesco Maria Piave
dal dramma Simón Bocanegra di Antonio García Gutiérrez
Musica diGiuseppe Verdi
Edizione critica a cura di Roger Parker – Casa Ricordi, Milano
Simon Boccanegra | Vladimir Stoyanov
Jacopo Fiesco | Riccardo Zanellato
Paolo Albiani | Devid Cecconi
Pietro | Adriano Gramigni
Maria (Amelia) | Roberta Mantegna
Gabriele Adorno | Peri Pretti
Ancella di Amelia | Chiara Guerra
Filarmonica Arturo Toscanini
Coro del Teatro Regio di Parma
direttore | Riccardo Frizza
maestro del coro | Martino Faggiani
regia | Valentina Carrasco
scene | Martina Segna
costumi | Mauro Tinti
luci | Ludovico Gobbi