Come largamente annunciato dalle polemiche degli scorsi mesi il titolo inaugurale della stagione 2022/2023 del Teatro alla Scala di Milano è stato il Boris Godunov di Musorgskij, presentato nella prima versione del 1869, in una nuova produzione firmata dal regista danese Kasper Holten, affiancato per l’ideazione e le scene dall’artista e scenografa inglese Es Devlin (già conosciuta in Scala per le magnifiche scene de Les Troyens di Berlioz nel 2014) con la direzione musicale di Riccardo Chailly.
Il Boris Godunov torna nel cartellone scaligero a vent’anni di distanza dall’ultima messa in scena (all’epoca fu presentata una produzione del Mariinskij di San Pietroburgo diretta da Valerij Gergiev) avvenuta al Teatro degli Arcimboldi. In questa occasione però alla Scala è stato possibile ascoltare la primissima versione del Boris, quella che fu rifiutata dalla Commissione del Teatri Imperiali di San Pietroburgo e che neppure il compositore stesso ha mai potuto vedere messa in scena. Anche Gergiev agli Arcimboldi aveva proposto questa stessa primissima versione, ma alla Scala il Maestro Riccardo Chailly ha diretto un’edizione critica che aggiunge alcune battute (per la precisione 23) che mai erano state ascoltate prima a Milano. E’ stata quindi una bella occasione, per scoprire un Boris diverso da quello che tradizionalmente popola i cartelloni operistici dei teatri: un Boris ancora più a tinte fosche e che ci mostra tutta la genialità di Musorgskij. Dal punto di vista musicale, Riccardo Chailly, che per la prima volta dirigeva un’opera non italiana in occasione del 7 dicembre, ha firmato quella che probabilmente è una delle migliori inaugurazioni scaligere degli ultimi anni: una direzione puntualissima, in perfetta sintonia con il palcoscenico e in grado di mostrarci gli squarci verso il futuro che questa partitura offre al nostro orecchio.
Lo spettacolo ideato dal duo Holten/Devlin è di grande impatto visivo (una potenza comunicativa che purtroppo la tv ha smorzato) ed è proprio nella scenografia che sta il punto di maggior interesse di questa produzione. Es Devlin insieme al light designer Jonas Bøgh e al videomaker Luke Halls creano momenti impressionanti che riescono a stupire lo spettatore: un esempio su tutti l’entrata della famiglia reale all’incoronazione di Boris. Dal punto di vista strettamente registico, Kasper Holten si è focalizzato sul dramma interiore che scuote il tiranno Boris, mettendone a nudo i rimorsi, personificati dal piccolo Zarevic Dmitrij ricoperto di sangue che segue Boris durante tutte le sue apparizioni (un aspetto che ricorda Macbeth perseguitato dal fantasma di Banco) e facendo di Pimen il filo conduttore di tutta la vicenda, come se la stesse raccontando e trascrivendo per i posteri che saranno chiamati a giudicare il potente Boris e le sue azioni. Variegati i costumi tra il tradizionale e il moderno curati da Ida Marie Ellekilde. Per questa inaugurazione scaligera quindi si è puntato a stupire grazie a immagini d’effetto, lasciando allo spettatore il compito di ricongiungere i numerosi collegamenti che ritroviamo all’interno dell’opera con la triste attualità del conflitto russo-ucraino.
Protagonista assoluto il basso Ildar Abdrazakov che qui si è dimostrato all’altezza dei suoi predecessori. Non avrà forse la voce tonante che ci si potrebbe aspettare per questo ruolo, ma Abdrazakov ha voce di velluto, cesella parola dopo parola, recita battuta dopo battuta riuscendo a commuovere lo spettatore e portandolo dentro il dramma di Boris. Altro vero protagonista di quest’opera è stato il Coro del Teatro alla Scala, ottimamente preparato dal M. Alberto Malazzi, centrale in alcuni dei passaggi più belli dell’intera opera. Schiacciati tra questi due grandi protagonisti stavano gli altri interpreti che si sono però tutti resi fautori di prove vocali interessanti e intense, a cominciare dal toccante Pimen dell’estone Ain Anger, per continuare con l’ardimentoso Grigorij di Dmitry Golovnin. Bene anche il Šujskij di Norbert Ernst, così come lo Ščelkalov di Alexey Markov. Citiamo infine il Varlaam di Stanislav Trofimov e il Misail di Alexander Kravets. Di buon livello anche le (poche) voci femminili presenti in questa versione dell’opera: Lilly Jørstad nel ruolo en travesti di Fedor, Anna Denisova (la figlia di Boris, Ksenija), la nutrice di Agnieszka Rehlis e l’ostessa di Maria Barakova.
Al termine della recita il pubblico che gremiva il teatro ha accolto con vere ovazioni Ildar Abdrazakov e ha comunque riservato calorosi applausi a tutti gli artisti impegnati. Prossimo appuntamento della stagione scaligera la “ripresa” della Salome di Richard Strauss, firmata da Damiano Michieletto nel 2020 e mai andata in scena fino ad ora davanti al pubblico.
Teatro alla Scala
Milano | 20 dicembre 2022
Boris Godunov
dramma musicale popolare in quattro parti (sette quadri)
dalla tragedia omonima di Aleksandr Puškin e
dalla Storia dello Stato russo di Nikolaj Karamzin
musica e libretto di Modest Petrovič Musorgskij
Boris Godunov | ildar Abdrazakov
Fedor | Lilly Jørstad
Ksenija | Anna Denisova
La nutrice | Agnieszka Rehlis
Principe Vasilij Ivanovič Šujskij | Norbert Ernst
Andrej Ščelkalov | Alexey Markov
Pimen | Ain Anger
Grigorij Otrep’ev | Dmitry Golovnin
Varlaam | Stanislav Trofimov
Misail | Alexander Kravets
L’Ostessa | Maria Barakova
L’Innocente | Yaroslav Abaimov
Guardia | Oleg Budaratskiy
Mitjucha | Roman Astakhov
Boiaro di corte | Vassily Solodkyy
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
con la partecipazione del Coro di Voci Bianche dell’Accademia del Teatro alla Scala
direttore | Riccardo Chailly
maestro del coro | Alberto Malazzi
maestro del coro di voci bianche | Bruno Casoni
regia | Kasper Holten
scene | Es Devlin
costumi | Ida Marie Ellekilde
luci | Jonas Bøgh
video | Luke Halls
ph. Brescia & Amisano