Amleto; Franco Faccio; Teatro Filarmonico Verona;

L’Amleto di Faccio rinasce a Verona

Il Teatro Filarmonico di Verona ha ripreso negli scorsi giorni la sua stagione lirica (dopo la lunga pausa estiva dedicata al Festival Areniano) con una vera rarità come l’Amleto di Franco Faccio, opera che mancava dai palcoscenici italiani da più di 150 anni, scritta su libretto del giovane scapigliato Arrigo Boito. L’ultima volta che l’opera del compositore veronese andò in scena fu il 9 febbraio 1871, quando alla Scala fece fiasco, spingendo Faccio a non riprenderla mai più e probabilmente ad accantonare la carriera di compositore a favore di quella di direttore d’orchestra. Ancora oggi infatti Faccio è ben più noto per essere stato il primo a dirigere alcune delle opere verdiane più amate come Aida e Otello. La riscoperta dell’opera in tempi moderni avvenne solo nel 2014, quando venne messa in scena ad Albuquerque, negli Stati Uniti, grazie all’edizione critica curata dal maestro Anthony Barrese. In Europa invece si dovette aspettare il 2016, quando venne rimessa in scena per la prima ed unica volta al Festival di Bregenz. Per questi motivi la prima veronese del 22 ottobre 2023 si è trasformata nel suo piccolo, in un evento per i melomani italiani, che hanno così potuto ascoltare dal vivo una così singolare composizione. L’edizione critica di Anthony Barrese unisce i pezzi superstiti delle due versioni dell’opera, i primi tre atti corrispondono alla seconda versione (andata in scena al Teatro alla Scala nel 1871), mentre il quarto atto è quello della prima versione (che ha debuttato al Teatro Carlo Felice di Genova nel 1865).

Lo spettacolo di Paolo Valerio, regista che affrontava per la prima volta una produzione operistica, presentava alcune scene interessanti e ben congeniate, capaci di catturare l’attenzione ed emozionarci (come quella della recita del Re di Gonzaga, trasformata in uno spettacolo di marionette nel secondo atto e quella del corteo funebre di Ofelia nel quarto atto, o ancora l’idea di utilizzare lo spartito come linea guida all’inizio di ogni parte). Purtroppo però il risultato complessivo perde di interesse a causa delle scene video che dominano tutto lo spettacolo; la bassa qualità delle proiezioni video oltre che a distogliere l’attenzione sulla scena, termina purtroppo per svilire il buon lavoro fatto sul palcoscenico.

Alla testa dell’Orchestra della Fondazione Arena di Verona c’era il Maestro Giuseppe Grazioli, esperto conoscitore del repertorio italiano tra metà Ottocento e inizio Novecento, chiamato a sostituire un collega inizialmente previsto. Grazioli si trovava ad affrontare per la prima volta questa partitura che riassume in sé un po’ tutte le tendenze dell’epoca in cui è stata composta. Se infatti da un lato sono chiarissimi i rimandi verdiani, dall’altro non possiamo non sentire richiami all’opera francese di quegli stessi anni, nonché al primo Wagner, nel preciso tentativo di sdoganare definitivamente l’opera dalla rigidità dei numeri chiusi dell’opera italiana. Ne risulta un’opera fatta di dialoghi lunghi e intensi, grande uso del declamato unito a qualche momento più squisitamente melodico di grande spessore drammatico. Il Maestro Grazioli è riuscito a tenere le fila di questa enorme matassa, calibrando alla perfezione il rapporto tra buca e palcoscenico e non esagerando mai con il volume. Anche il coro, preparato da Roberto Gabbiani, è stato fautore di un’ottima prova. 

Numerosissimo il cast coinvolto, salutato con grande favore dal pubblico. Protagonista nei panni di Amleto abbiamo trovato Angelo Villari che si è trovato ad affrontare un ruolo lungo ed estremamente arduo, tutto giocato sulla zona di passaggio del registro acuto. Il tenore messinese ha affrontato il ruolo con baldanza e squillo, ottimo fraseggio e intensità interpretativa, aspetti che gli sono valsi lunghi applausi a scena aperta e al termine della rappresentazione. Emozionante la prova di Gilda Fiume nei panni dell’infelice Ofelia, capace di cesellare minuziosamente e senza sbavature una scena della pazzia intensa e virtuosistica. Marta Torbidoni ha dato grande drammaticità al personaggio di Geltrude, grazie a voce brunita e intensità interpretativa nel doppio ruolo della madre di Amleto, ma anche sposa del re. Il re era qui interpretato con veemenza da Damiano Salerno, mentre Laerte era un efficace Saverio Fiore.

Di buon livello anche tutti gli altri numerosi componenti del cast, a partire dal Polonio di Francesco Leone, insieme all’Orazio di Alessandro Abis e al Marcello di Davide Procaccini. Abramo Rosalen è stato uno spettro tonante. Molto incisivi scenicamente e vocalmente i tre cantanti coinvolti nella pantomima (Francesco Pittari, Marianna Mappa e Nicolò Rigano). Completavano il cast l’araldo di Enrico Zara, un sacerdote interpretato da Maurizio Pantò e Valentino Perera nei panni del primo becchino. 

I calorosi applausi che hanno accolto l’intero cast al termine della prima dello spettacolo testimoniano come questa riscoperta sia una scommessa vinta dalla Fondazione Arena, che sempre più spesso cerca di proporre all’interno della stagione del Teatro Filarmonico titoli desueti e poco noti. L’Amleto resta in scena fino a domenica 29 ottobre, mentre la stagione lirica continua con il dittico formato da Il Parlatore eterno di Ponchielli e Il Tabarro di Puccini, in scena dal 19 novembre.


Teatro Filarmonico
Verona | 22 ottobre 2023

Amleto
Tragedia lirica in quattro atti di Franco Faccio
libretto di Arrigo Boito

Amleto | Angelo Villari
Claudio | Damiano Salerno
Polonio | Francesco Leone
Orazio | Alessandro Abis
Marcello | Davide Procaccini
Laerte | Saverio Fiore
Ofelia | Gilda Fiume
Geltrude | Marta Torbidoni
Lo spettro | Abramo Rosalen
Un Araldo | Enrico Zara
Il Re Gonzaga | Francesco Pittari
La Regina | Marianna Mappa
Luciano | Nicolò Rigano
Un sacerdote | Maurizio Pantò
Primo Becchino | Valentino Perera

Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Arena di Verona

direttore | Giuseppe Grazioli
maestro del coro | Roberto Gabbiani
regia | Paolo Valerio
scene e projection design | Ezio Antonelli
costumi | Silvia Bonetti
luci | Claudio Schmid

ph. Ennevi Foto – Fondazione Arena di Verona

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